Monthly Archives: Ottobre 2021

Contratti pubblici: questioni attuali e prospettive evolutive. Convegno a Perugia il 5 novembre 2021

La Scuola Forense “Gerardo Gatti” del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia, in collaborazione con il Distretto Didattico Territoriale di Perugia della Scuola Superiore della Magistratura, ha organizzato per il prossimo 5 Novembre un interessante convegno in materia di contratti pubblici.

Responsabili della Sessione gli Avv.ti Fabio Amici e Fabio Buchicchio dello Studio Avvocati & Commercialisti, componenti del Comitato Scientifico Scuola Forense “Gerardo Gatti” ed esperti di diritto amministrativo.

Di particolare interesse le relazioni del Consigliere di Stato Stefano Fantini, che proporrà una rassegna dei più recenti trend giurisprudenziali in materia di contratti pubblici, e dell’Avv. Stato Mario Capolupo, Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, che illustrerà le riforme normative in itinere nell’ambito del quadro di riferimento del PNRR.

Il successivo dibattito tra i partecipanti e gli avvocati del Foro vedrà la già programmata partecipazione del Presidente della Camera Amministrativa dell’Umbria, Avv. Massimo Marcucci, e dell’Avv. Daniele Spinelli, docente alla SDA Bocconi School of Management ed esperto del settore.


Dietrofront del Consiglio di Stato sulle Graduatorie per le supplenze nella Scuola (GPS): nella querelle sulla giurisdizione la VI sezione torna sui propri passi.

Con la sentenza n. 5545 del 17.9.2021, la VI Sezione del Consiglio di Stato ha negato la natura concorsuale delle procedure di formazione delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze nella Scuola (GPS), attribuendo le relative controversie al Giudice Ordinario.

Si tratta di una decisione a dir poco sorprendente, che ribalta una pronuncia di soli dieci giorni prima della stessa VI Sezione che sembrava avere definitivamente risolto la questione sulla giurisdizione in materia di GPS.

Con la sentenza n. 6230 del 7.9.2021, infatti, la IV sezione del Consiglio di Stato aveva riconosciuto la natura concorsuale delle procedure di formazione delle GPS, chiarendo che, comunque, la giurisdizione dovesse essere stabilita avuto riguardo al petitum sostanziale.  

Tale decisione, dopo mesi di contrasti tra i tribunali regionali amministrativi italiani, aveva infatti ritenuto che le modalità di formazione delle GPS non fosseroidonee ad escludere la tradizionale qualificazione della relativa procedura come concorsuale,  sebbene per essa non sia prevista la costituzione di una commissione di concorso per la valutazione dei titoli (in prima battuta tale valutazione è affidata al sistema informatico e solo successivamente agli uffici scolastici), né l’attribuzione dei punteggi sulla base di veri e propri criteri di valutazione (che vengono assegnati in base a quanto previsto dalle tabelle allegate all’ordinanza ministeriale di indizione della procedura).

A soli 10 giorni da tale pronuncia, tuttavia, la medesima IV sezione ha effettuato una valutazione dai contenuti diametralmente opposti.

Con la ricordata sentenza n. 5545 del 17.9.2021, infatti, il Consiglio di Stato ha statuito che per l’inserimento nelle GPS “non è previsto alcun bando di concorso, né procedura selettiva, né valutazione degli aspiranti, ma tale inserimento è asetticamente predeterminato dall’O.M. 60/2020 […] all’esito di una operazione di mero acclaramento con riguardo ai titoli posseduti e dichiarati dal candidato”.

Pertanto, secondo il Collegio, le GPS devono essere parificate alle vecchie Graduatorie ad Esaurimento (GAE), per le quali viene pacificamente negata da anni la natura di procedura concorsuale, con le relative conseguenze in termini di giurisdizione del giudice ordinario.

Ad oggi, dunque, anche a fronte di ripetuti pronunciamenti contrastanti di molti TAR, continuano a permanere dubbi in ordine al giudice da adire nell’ambito di controversie sulle GPS, con buona pace dei docenti e del principio costituzionale del giudice naturale precostituito.

A cura dell’Avv. Chiara Egle Orsini


Green Pass nei luoghi di lavoro e adempimenti privacy alla luce dell’entrata in vigore del Decreto Legge n. 127/2021

Con l’entrata in vigore il 22 settembre u.s. del D.L. 127/2021 è stato introdotto l’obbligo del possesso della certificazione verde (green pass) per tutti gli ambienti di lavoro, privati e pubblici, a partire dal 15 di ottobre p.v. sino al 31 dicembre 2021 (salvo ulteriori proroghe), data che coincide con il termine finale dello stato di emergenza.

Dal 15 ottobre, pertanto, tutti i lavoratori che vorranno accedere ai luoghi di lavoro, unitamente a coloro che prestano attività di formazione e/o di volontariato presso i locali aziendali, dovranno essere in possesso del green pass in corso di validità ed esibirlo in fase di opportuno controllo, altrimenti dovrà essere impedito loro l’ingresso ai locali aziendali.

Sotto il profilo della tutela della riservatezza, due elementi assumono particolare rilievo:

(a) non è consentito al datore di lavoro (sia esso pubblico o privato) richiedere ai dipendenti se siano vaccinati o meno, o di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale;

(b) il controllo del datore di lavoro dovrà essere mirato esclusivamente a verificare la validità del green pass e dovrà essere istantaneo, senza cioè determinare la conservazione e/o la raccolta dei dati personali dei lavoratori.

La nuova normativa (art. 3 del D.L 127/2021 che è intervenuto modificando l’art. 9 septies del D. L. 52/2021), calibrata in relazione alle disposizioni vigenti in materia di privacy, introduce poi per i datori di lavoro – che si trovano ad essere titolari di questa nuova attività di trattamento – alcuni obblighi specifici, che possono essere così riassunti:

 – definizione, entro il 15 di ottobre 2021, delle modalità operative per l’organizzazione delle verifiche nei luoghi di lavoro (da poter effettuare anche a campione), mediante stesura di una specifica e dettagliata policy aziendale, da rendere fruibile a tutti i soggetti interessati al trattamento;

–  predisposizione di un apposito atto di designazione in forza del quale sarà individuato ed espressamente autorizzato (ai sensi dell’art. 29 del GDPR), su indicazione del datore di lavoro, il soggetto incaricato di controllare la validità del green pass (c.d. verificatore), mediante l’utilizzo dell’applicazione digitale “VerificaC19”, che potrà essere installata su dispositivi mobili o fissi forniti dall’azienda, nonché la corrispondenza dei dati anagrafici con quelli visualizzati dalla predetta applicazione;

informazione al lavoratore subordinato (ovvero al professionista o collaboratore autonomo dell’azienda), interessato dalle operazioni di controllo, sul trattamento dei suoi dati personali (art. 13 GDPR), che verrà effettuato tramite verifica del green pass con l’applicazione digitale “VerificaC19”;

–  aggiornamento ed integrazione del registro dei trattamenti aziendali con le informazioni relative alle modalità di verifica della validità del green pass, con il rischio di incorrere, in caso contrario, nelle sanzioni previste dall’art. 83 del GDPR.

Sarà pertanto indispensabile curare puntualmente la compliance a tali adempimenti, poiché l’omissione delle misure a tutela della privacy esporrebbe il datore di lavoro al rischio di essere destinatario non solo delle sanzioni previste dalla normativa emergenziale di cui all’art. 9 septies, comma 9, del D.L. 52/2021 (come modificato dall’art. 3 del D. L. 127/2021), ma anche di quelle delineate dalla normativa generale di cui al GDPR.  

A cura dell’Avv. Leonardo Gagliardini


Ottemperanza di chiarimenti e danno da perdita di chance. Il Consiglio di Stato fa il punto.

Con la sentenza n. 6477 pubblicata il 27 settembre scorso, in un giudizio curato dall’Avv. Amici per lo Studio Mariani Marini, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha precisato alcuni principi in materia di c.d. ottemperanza di chiarimenti e danno da perdita di chance.

Il caso era quello di una società, ingiustamente esclusa per alcuni mesi dalla possibilità di partecipare a gare pubbliche a causa di una erronea annotazione nel casellario informatico dell’A.V.C.P., che aveva ottenuto dal TAR (con decisione confermata in appello) una sentenza in suo favore di condanna al risarcimento del danno.

All’esito della mancata determinazione del quantum, non liquidato in sede di merito, era stato avviato un giudizio di ottemperanza avanti al Consiglio di Stato conclusosi con una liquidazione da parte del Commissario ad Acta, che nell’ambito della sua attività di stima aveva chiesto ed ottenuto dal Collegio chiarimenti in ordine ai criteri di quantificazione ai sensi dell’art. 112, co. 5, e 114, co. 7, c.p.a.

La relativa ordinanza di chiarimenti, unitamente alla determinazione del Commissario ad Acta, erano state poi oggetto di richiesta di revoca da parte dell’impresa, prima, e di successivo reclamo ex art. 114, co. 6, poi.

Con la sentenza n. 6477/2021 il Consiglio di Stato ha compiuto una attenta valutazione in ordine alla ammissibilità del reclamo, in ragione del contenuto effettivo (decisorio o meno) del provvedimento adottato a seguito della richiesta di chiarimenti ed ha scrutinato l’esatta portata della sentenza di condanna e del danno da perdita di chance riconosciuto dal Tar, con una attenta analisi della differenza tra chance secondo la c.d. concezione ontologica e chance secondo la c.d. concezione eziologica.

Sulla conseguente liquidazione in via equitativa e sugli elementi di prova da acquisire nel giudizio di merito sono stati poi precisati i più recenti approdi giurisprudenziali di settore ed è stata poi emessa la pronuncia di rigetto del reclamo.


Prove preselettive di concorso: la commissione esaminatrice può stabilire un voto minimo anche se non previsto dal bando

Con la sentenza n. 630 pubblicata lo scorso 13 settembre, Il Tar Umbria ha affermato un importante principio in tema di poteri delle commissioni esaminatrici nella fissazione di un voto minimo per il superamento delle prove preselettive, laddove il bando di concorso non aveva fissato soglie di superamento di tali prove.

La questione centrale all’esame del Tar Umbria atteneva appunto alla definizione dei poteri della Commissione esaminatrice di concorso rispetto allo svolgimento ed alla valutazione delle prove preselettive.

In giurisprudenza si contrapponevano due orientamenti specifici in tema di indicazione del voto minimo di superamento delle preselezioni da parte della Commissione: uno più risalente del Consiglio di Stato (Sez. V, ord. n. 5346/05) che aveva affermato che la Commissione potesse discrezionalmente stabilire il punteggio minimo di idoneità (non indicato dal bando) e non anche il numero massimo dei candidati idonei, in quanto la prima attività attiene alla mera determinazione/specificazione dei criteri di valutazione delle prove preselettive, rimessa appunto alla Commissione; un altro orientamento più recente di alcuni Tribunali Amministrativi Regionali (Veneto e Puglia) riteneva invece che, se il bando non aveva fissato un voto minimo per il superamento delle prove preselettive, sarebbe stato precluso alla Commissione individuarlo, laddove ciò avesse ridotto il “numero massimo” dei candidati da ammettere alle prove di esame. Sullo sfondo di tale ultimo orientamento restrittivo vi era l’affermazione secondo la quale le preselezioni hanno il solo scopo di “scremare” il numero dei candidati di concorso, al fine di garantirne la “celerità” delle relative operazioni, e non anche quello di operare una prima selezione dei più meritevoli.

Il Tar Umbria, con la decisione n. 630/2021, in totale controtendenza rispetto al più recente orientamento di altri tribunali amministrativi, ha affermato che “anche in assenza di un’espressa prescrizione ad hoc, la commissione di concorso può stabilire il punteggio minimo di idoneità per limitare il numero dei candidati da ammettere alle prove scritte”.

Sono state pertanto recepite le difese dell’amministrazione, difesa dall’Avv. Fabio Amici, con le quali era stato sottolineato come sottrarre alla Commissione esaminatrice il potere discrezionale di fissare il voto di superamento della prova, pur non precisato dal bando, avrebbe significato obliare il principio di carattere generale secondo il quale la Commissione può specificare i contenuti delle prove fino al limite di non introdurre nuovi criteri di valutazione non conosciuti dai candidati al momento della presentazione delle domande.