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“Carta del docente”: depositati dall’Avv. Fabio Amici e dall’Avv. Chiara Egle Orsini i ricorsi in varie giurisdizioni umbre.

Come è noto, l’art. 1, comma 121, della L. 107/2015 ha previsto e tuttora prevede che “Al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado.

Il successivo comma 122 del citato art. 1 della L. 107/2015 demanda(va) a un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, la definizione dei criteri e delle modalità di assegnazione e di utilizzo della Carta in questione, mentre il comma 124 del medesimo art. 1 ribadi(va) il carattere obbligatorio della formazione dei docenti, da definite da parte delle singole istituzioni scolastiche.

A sua volta, il C.C.N.L. di categoria, siglato in data 29.11.2007, stabiliva (e stabilisce) che “la formazione costituisce una leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale (…)” e che “l’Amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio” (art. 63), mentre “la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per il personale in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle proprie professionalità” (art. 64)

Nonostante tali previsioni di contratto collettivo, in attuazione art. 1 della L. 107/2015 (di diverso tenore) veniva emanato dal Ministero dell’Istruzione il d.P.C.M. 23 settembre 2015 (le cui disposizioni sono state poi sostituite da quelle del d.P.C.M. 28 novembre 2016 a far data dal 2 dicembre 2016), rubricato “modalità di assegnazione e di utilizzo della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado“.

L’art. 2 di tale d.P.C.M. individuava i destinatari della suddetta Carta elettronica, indicandoli al comma 1, nei “docenti di ruolo a tempo indeterminato presso le Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova“. Il successivo comma 4 ribadiva poi che “la Carta è assegnata, nel suo importo massimo complessivo, esclusivamente al personale docente a tempo indeterminato di cui al comma 1“.

L’art. 4 del medesimo d.P.C.M., inoltre, elencava le modalità di utilizzo della Carta, riproducendo in buona sostanza le previsioni dell’art. 1, comma 121, della l. n. 107/2015.

Sulla base di tale quadro normativo e del primo decreto ministeriale attuativo, il Ministero dell’Istruzione aveva peraltro emanato la nota prot. n. 15219 del 15 ottobre 2015 (doc. 190), la quale, al punto 2 (“Destinatari“), ribadiva che “la Carta del docente (e il relativo importo nominale di 500 euro/anno) è assegnata ai docenti di ruolo delle Istituzioni scolastiche statali a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti in periodo di formazione e prova, che non siano stati sospesi per motivi disciplinari (art. 2 DPCM)“.

I d.P.C.M. del 23.9.2015 e 28.11.2016 e la nota prot. n. 15219 del 15.10.2015, pertanto, individuavano come esclusivi destinatari dell’indennità di cinquecento (500,00) euro all’anno della suddetta Carta elettronica (detta “Carta del docente”), i soli docenti di ruolo a tempo indeterminato presso le istituzioni scolastiche, cosicché tutti i docenti assunti in servizio a tempo determinato, come gli odierni ricorrenti, non potevano percepire ed in effetti non hanno mai percepito il relativo beneficio.

Della questione si cominciata ad occupare la giurisprudenza amministrativa a partire dall’anno 2016, allorquando il Tar Lazio, con una sentenza della III Sezione (n. 7799/16), confermava gli atti amministrativi del Ministero e la loro applicazione della normativa del 2015, escludendo il personale docente assunto a tempo determinato dalla cerchia dei destinatari della Carta del docente.

In data 16.3.2022 è stata tuttavia pubblicata la sentenza della Sez. VII del Consiglio di Stato n. 1842/2022, che, riformando tale ultima decisione, ha fornito una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.1, comma 121, della L. 107/2015, stabilendo che tra i destinatari della istituzione della Carta del docente vadano ricompresi anche i docenti a tempo determinato, con conseguente annullamento dei d.P.C.M. del 2015/16 e della circolare del Ministero dell’Istruzione prot. n. 15219 del 15.10.2015 nella parte in cui hanno escluso il riconoscimento di tale istituto ai docenti precari.

Tale decisione, peraltro, è stata motivata tenendo conto anche della disciplina prevista in tema di formazione dei docenti dal ricordato C.C.N.L. di categoria (v. artt. 63 e 64 del C.C.N.L. del 29.11.2007; doc. 184), andando dichiaratamente a “colmare” una “lacuna previsionale dell’art. 1, comma 121, della l. n. 107/2015, che menziona i soli docenti di ruolo”: l’estensione anche ai docenti non di ruolo dei benefici della Carta del docente, è stata dunque disposta introducendo “in via interpretativa” una previsione non presente nella norma (v. C.d.S. n. 1842/2022 cit., punto 6.2.2 in fondo).

Poiché dunque il diritto-dovere di formazione professionale e aggiornamento grava su tutto il personale docente e non solo su un’aliquota di esso l’erogazione della Carta, secondo tale condivisibile decisione, deve essere riconosciuta sia al personale di ruolo che a quello a tempo determinato.

Con successiva Ordinanza della Corte di Giustizia della U.E. (sez. VI del 18.5.2022), la medesima disposizione di cui all’art. 1, comma 121, della L. 107/2015 è stata ritenuta in contrasto con la clausola 4, punto 1, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18.3.1999 sempre nella parte in cui riserva al solo personale docente a tempo indeterminato e non anche a quello a tempo determinato il beneficio del vantaggio finanziario di cinquecento (500,00) euro all’anno della “Carta del docente”, con violazione, tra l’altro, del generale principio di non discriminazione.

Per effetto di tali interventi giurisprudenziali, aventi carattere innovativo e di interpretazione costituzionalmente orientata e conforme al diritto europeo della norma primaria, il diritto all’indennità della “Carta del docente” deve essere pertanto esteso e riconosciuto ai docenti a tempo determinato, a partire dall’a.s. 2015/2016 e fino a tutto l’a.s. 2021/2022 appena trascorso, con loro diritto alla assegnazione della Carta anche per l’anno scolastico 2022/23 in corso di svolgimento e per quelli a venire ove i medesimi ricorrenti saranno destinatari di contratti a tempo determinato.

Tale riconoscimento è già stato oggetto anche di recenti pronunce giurisprudenziali da parte di corti di merito, tra le quali il Tribunale di Torino, il Tribunale di Vercelli, il Tribunale di Palmi e, da ultimo il Tribunale di Terni.

Alla luce di tale mutato quadro giuridico ed amministrativo, pertanto, la posizione del Ministero è divenuta del tutto incomprensibile, avendo potuto (e dovuto) essere data spontanea attuazione a quanto ormai ritenuto pacifico dalla giurisprudenza di settore.

In mancanza di ciò, molti docenti umbri hanno avviato una massiccia iniziativa giudiziaria con il supporto di una nota sigla sindacale. Gli esiti si sapranno a breve.


Revoca dell’aggiudicazione per ritardo nella consegna dei lavori ed esclusione di concorrente sottoposto a sequestro giudiziario (con esclusione della applicazione dell’art. 80, co. 11, del D. Lgs. n. 50/2016)

Con due importanti decisioni pubblicate il 24 febbraio scorso (n. 94/2023 e n. 99/2023) il Tar Umbria ha affermato alcuni importanti principi in materie di gare pubbliche per l’affidamento di lavori, in due giudizi patrocinati dall’Avv. Fabio Amici.

A fronte della avvenuta revoca della aggiudicazione della prima classificata per avere questa colpevolmente ritardato la consegna dei lavori in via d’urgenza e della successiva esclusione della seconda classifica per avere questa omesso informazioni rilevanti sulla sussistenza di gravi illeciti professionali e per sopravvenuta carenza di requisiti di partecipazione, il Collegio umbro ha puntualizzato alcune delicate questioni giuridiche in materia di pubblici appalti.

Da una parte, con la decisione n. 94/2023, è stata ritenuta corretta la condotta dell’amministrazione aggiudicatrice che aveva deciso di revocare l’aggiudicazione a causa della impossibilità della consegna anticipata dei lavori, e ciò coerentemente al consolidato orientamento giurisprudenziale concludente per la legittimità di una revoca/decadenza dell’aggiudicazione in ragione dell’inadempimento da parte dell’aggiudicatario “dell’obbligo, previsto negli atti di gara, di procedere d’urgenza all’inizio dei lavori, su richiesta dell’amministrazione, nelle more della stipula del contratto”.

Del pari, è stata ritenuta legittima la revoca dell’aggiudicazione a fronte della mancata produzione della documentazione “attinente alla fase esecutiva e di apertura del cantiere (come la idoneità tecnico-professionale di cui agli articoli 17 ed 89 del D. Lgs. n. 81/2008 o il Piano Operativo di Sicurezza) la cui conformità a legge deve essere necessariamente verificata al momento dell’inizio dei lavori anche in caso di consegna anticipata rispetto alla stipulazione del contratto”, come anche la pretesa della stazione appaltante di ottenere a tal scopo il “programma esecutivo dei lavori che, ai sensi del DM 49/2018, l’impresa aggiudicataria deve presentare prima dell’inizio dei lavori”.

Il comportamento dilatorio ed inadempiente assunto dall’aggiudicataria tra la fase di aggiudicazione e quella di verifica dei requisiti e di acquisizione della documentazione propedeutica alla stipula è stato ritenuto quale chiaro indice di inaffidabilità della stessa, con la conseguenza che è stata valutata legittima la motivazione della revoca adottata dall’amministrazione secondo cui “anche i lamentati ritardi nelle attività preliminari alla stipula del contratto di appalto potevano in linea di principio giustificare, da sé soli, la revoca dell’aggiudicazione, come pure sanzionabile “il reiterato atteggiamento non cooperativo dell’aggiudicatario, obiettivamente idoneo a ritardare la stipula del contratto anche a fronte di servizi dichiaratamente connotati di urgenza, in presenza di motivate ragioni di pubblico interesse”.

Di particolare interesse è anche la seconda decisione n. 99/2023, intervenuta a dirimere la controversia che si era poi innestata nella medesima procedura, in considerazione della successiva esclusione della concorrente seconda classificata, che aveva comunicato la volontà di subentro condizionandola ad una determinata data di inizio dei lavori e che aveva rappresentato tardivamente l’intervenuta adozione di provvedimenti giudiziari a carico dei propri socie e legali rappresentanti.

Questa seconda decisione è peraltro intervenuta a dirimere la complessa fattispecie giuridica disciplinata dall’art. 80, co. 11, del D. Lgs. n. 50/2016, in quanto la società seconda classificata era stata posta in amministrazione giudiziaria nella fase di espletamento della gara.

Sul punto, il Tar Umbria ha ritenuto corretta l’esclusione disposta dalla stazione appaltante, in quanto il comportamento omissivo rilevante ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c-bis), del d.lgs. n. 50/2016, si era verificato successivamente all’apertura dell’amministrazione giudiziaria, non avendo l’amministratore giudiziario a tal uopo nominato, nonostante fosse a conoscenza delle misure cautelari a carico di amministratori e soci della società sequestrata e nonostante si fossero tenute ben due sedute di gara dopo la notifica dei provvedimenti di sequestro e custodia cautelare a loro carico, provveduto alla tempestiva comunicazione di tali circostanze alla stazione appaltante.

Ne è conseguito il venir meno di uno dei presupposti di astratta applicabilità dell’art. 80, comma 11, del d.lgs. n. 50/2016, ovvero la riferibilità della causa di esclusione ad un periodo precedente all’affidamento all’amministrazione giudiziaria.

In ogni caso, ha aggiunto il Tar Umbria, in occasione dell’aggiornamento del DGUE, lo stesso amministratore giudiziario si era qualificato come amministratore volontario della società (non chiedendo e/o segnalando l’applicazione dell’art. 80, comma 11 del Codice) e non aveva colpevolmente dichiarato l’avvenuta sottoposizione della società ad un sequestro di sproporzione di cui all’art. 240-bis c.p., rilevante agli effetti di cui all’art. 80, comma 11, del d.lgs. n. 50/2016.