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Legittime le recinzioni in zona agricola a protezione di edifici abitativi

È stata decisa dal Consiglio di Stato (Sez. VII, sent. n. 7006 del 17.7.2023), su un ricorso promosso dall’Avv. Fabio Amici, la questione relativa alla legittimità di una S.C.I.A. che aveva assentito, all’interno di un’area classificata come “area agricola periurbana – Ep”, una recinzione di un’area di parcheggio a servizio di abitazioni, opera qualificata dal compente comune come “pertinenziale” e pertanto ritenuta assentibile ai sensi dell’art. ex art. 21, comma 3, lett. b) e n) del Reg. Reg. Umbria 2/2015.

Il Tar Umbria, in primo grado, aveva giudicato illegittima la recinzione realizzata in zona agricola, atteso che all’interno di tale comparto Ep sarebbe stasta esclusa, per il Collegio di prime cure, l’esecuzione di opere non funzionali ad un’impresa agricola.

E ciò ai sensi degli ai sensi degli articoli 88 e ss. della L.R. Umbria n. 1/2015.

La legislazione regionale umbra regola infatti la materia della realizzazione di recinzioni in area agricola in due disposizioni, apparentemente di non perfetto coordinamento: l’art. 89, co.2, della L.R. n. 1/2015 e l’art. 21 del R.R. Umbria n. 2/2015.

L’art. 89 contiene disposizioni di carattere generale sulla realizzazione di diverse tipologie di interventi in zona agricola. La prima parte del secondo comma, in particolare, sancisce la compatibilità con le zone agricole di “attrezzature sportive e ricreative pertinenziali alle abitazioni“, nonchè, più avanti, “la realizzazione di opere di sistemazione idraulica, per l’irrigazione e di opere pertinenziali“.

La parte finale di tale comma 2, tuttavia, stabili(va) che “(fosse) esclusa ogni forma di recinzione dei terreni o interruzione di strade di uso pubblico se non espressamente previsto dalla legislazione di settore o recinzioni da installare per motivi di sicurezza, purchè strettamente necessarie a protezione di edificied attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche”.

Disposizioni che, pur non perfettamente coordinate, sembravano comunque consentire impianti anche non funzionali all’agricoltura ed opere pertinenziali sia a quest’ultima che alle abitazioni, con un divieto finale di realizzazione di recinzioni, salvo che per motivi di sicurezza a protezione di edifici ed attrezzature funzionali”.

Il divieto di realizzazione di recinzione in area agricola, pertanto, sembrava non essere affatto assoluto, come invece sostenuto dal T.A.R. Umbria, poiché sopportava le eccezioni delle opere pertinenziali in generale e delle recinzioni a tutela della sicurezza degli edifici, agricoli e/o residenziali.

Tale lettura appariva peraltro confermata dall’art. 21 del R.R. n. 2/15 relativo alle opere pertinenziali, definite come quei “manufatti che, pur avendo una propria individualità ed autonomia, sono posti in durevole ed esclusivo rapporto di proprietà, di subordinazione funzionale e ornamentale, con uno o più edifici principali di cui fanno parte” (co. 1).

Il comma 3 dello stesso articolo 21 stabilisce che sono opere pertinenziali eseguibili senza titolo abilitativo una serie di interventi, tra i quali (lett. n) “le recinzioni, i muri di cinta e le cancellate che non fronteggiano strade o spazi pubblici e che non interessano superfici superiori a metri quadrati 3.000“.

Sono invece opere pertinenziali sottoposte a S.C.I.A., secondo il successivo comma 4, tre le altre (lett. g) “le recinzioni, i muri di cinta e le cancellate di qualunque tipo che fronteggiano strade o spazi pubblici o recinzioni pertinenziali di edifici che interessino superficie superiore a metri quadrati 3.000“.

La stessa lett. g) dell’articolo in commento, inoltre, precisa che “nelle zone agricole le recinzioni che interessino superficie superiore a metri quadrati 3.000 sono consentite esclusivamente per le imprese agricole, purchè a protezione di attrezzature o impianti“.

Tale ultima precisazione sarebbe stata del tutto incongrua ed illogica se si fosse interpreato il divieto di recinzioni di cui all’art. 89 della L.R. 1/15 come esteso a tutte le recinzioni in zona agricola salvo quelle per motivi di sicurezza ed a protezione di edifici ed attrezzature funzionali all’impresa agricola, come aveva sostenuto dal T.A.R.

In tale ultimo caso, infatti, la lett. g) del comma 4 del Regolamento n. 2 avrebbe introdotto una prescrizione per le superfici superiori a 3.000 mq del tutto inutile, poichè anche le recinzioni di superfici inferiori (classificate dal co. 3, lett. n) come attività libera) avrebbero subìtp l’analogo limite posto in generale dall’art. 89 (che, secondo la lettura del T.A.R., avrebbe vietato tutte le recinzioni in zona agricola salvo che per la protezione di edifici ed attrezzature di imprese agricole).

Il fatto che la lett. n) del co. 3 di tale art. 21 consente la realizzazione di recinzioni come attività libera per superfici inferiori a 3.000 mq, senza limitazioni per le aree agricole (che invece compare alla lett. g) del co. 4.) significa pertanto che in zona agricola sono consentite recinzioni di superfici inferiori a 3.000 mq a protezione di qualunque edificio, anche non funzionale ad una impresa agricola.

Dal coordinamento delle norme citate si deduceva, pertanto, che, l’art. 89 non consente le sole recinzioni in zona agricola funzionali alle imprese agricole, vietando quelle a protezione di edifici.

La questione è stata oggi risolta dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 7006/2023, alla luce della sopravvenuta decisione della Corte Costituzionale n. 175 del 2019 proprio sul citato art. 89, co. 2, della L.R. Umbria n. 1/2015.

Infatti, ha oggi precisato il Consiglio di Stato, “dall’ultima parte del comma 2 dell’articolo 89 della legge regionale n. 1/2015, nella versione riveniente dalla sentenza della Corte Costituzionalen. 175 del 2019, applicabile a tutti i rapporti giuridici pendenti al momento della decisione – che ha dichiarato l’illegittimità dell’ultimo periodo del comma originario, nella parte in cui, nelle zone agricole, vietava ogni forma di recinzione dei terreni non espressamente prevista dalla legislazione di settore o non giustificata da motivi di sicurezza, nonché strettamente necessaria a protezione di edifici ed attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche – non è più estrapolabile un divieto generalizzato di realizzare recinzioni di terreni in zona agricola.

Qualsivoglia interpretazione che pretendesse di estrapolare siffatte limitazioni dalla norma suddetta, per come attualmente in vigore, sarebbe contraria alle previsioni contenute nell’art.842 del codice civile – che consente al proprietario di chiudere l’accesso al fondo in ogni momento – e così diverrebbe violativa della riserva di legge statale in materia diordinamento civile prevista dall’art.117 comma 2 lett. l).

Al caso di specie, dopo l’intervento della Consulta, va dunque a maggior ragione applicata la previsione contenuta nella lettera g) dell’art. 21, comma 3, del Regolamento Regionale n. 2 del 2015 la quale autorizza la realizzazione di opere pertinenziali, fra cui, alla lett. n) le “recinzioni, i muri di cinta e lecancellate (…) che non interessino superfici superiori a metri quadri tremila.”


Il principio di equivalenza delle certificazioni di qualità negli appalti pubblici

Con sentenza n. 434 pubblicata oggi 5.07.2023, il Tar Umbria ha deciso una controversia sorta tra un’associazione temporanea di imprese e un Comune, patrocinato dall’Avv. Amici, riguardo l’affidamento di un servizio pubblico.

In particolare, il Comune, per mezzo dell’ente provinciale, indiceva una procedura di gara per l’affidamento di un servizio di trasporto scolastico. Alla gara prendeva parte la suddetta associazione, che tuttavia non si aggiudicava l’appalto.

Al termine della procedura, l’associazione impugnava di fronte al Tar Umbria il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto vinto da un altro RTI, il quale, secondo la ricostruzione offerta dal ricorrente, era asseritamente sprovvista di un titolo idoneo poiché non risultava in possesso della specifica certificazione di qualità richiesta per svolgere il trasporto scolastico, bensì possedeva solamente una certificazione di idoneità al noleggio di autovetture, autobus e minivan, con o senza conducente.

Avverso tale tesi, le amministrazioni resistenti evocavano il principio di equivalenza vigente in materia di procedure di evidenza pubblica ed applicabile anche alle certificazioni di qualità, la cui verifica andrebbe condotta secondo criteri di congruenza e pertinenza sostanziale.

Il Tar adito, in adesione a quanto sostenuto dalle parti resistenti, ha rigettato il ricorso valutando che la certificazione posseduta dal RTI aggiudicatario risultasse essere “idonea, pertinente e proporzionata al trasporto scolastico”.

Nella sentenza, infatti, si specifica che “le norme tecniche come quella di cui in questa sede si converte si risolvono in una serie articolata di requisiti generali, la cui esistenza garantisce un determinato livello qualitativo della struttura aziendale (…) in modo da garantire la corretta esecuzione dei rapporti contrattuali e la soddisfazione del cliente. (…) Detto in altri termini, nel caso che qui interessa, la certificazione richiesta dalla stazione appaltante non attiene direttamente alle modalità con le quali l’operatore economico certificato rende il servizio (di trasporto scolastico o altro), bensì al livello qualitativo della struttura aziendale e dei processi lavorativi”.

Pertanto, in materia di requisiti di idoneità professionale e di capacità tecnica e professionale, in virtù del principio di equivalenza tra certificati, da ritenersi, come sottolinea il Tar Umbria, “immanente al settore dei contratti pubblici anche laddove non espressamente menzionato dalla legge di gara”, impone di valutare funzionalmente e con ragionevolezza il requisito di conformità alla norma tecnica posseduto dai vari operatori.