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Il principio di equivalenza delle certificazioni di qualità negli appalti pubblici

Con sentenza n. 434 pubblicata oggi 5.07.2023, il Tar Umbria ha deciso una controversia sorta tra un’associazione temporanea di imprese e un Comune, patrocinato dall’Avv. Amici, riguardo l’affidamento di un servizio pubblico.

In particolare, il Comune, per mezzo dell’ente provinciale, indiceva una procedura di gara per l’affidamento di un servizio di trasporto scolastico. Alla gara prendeva parte la suddetta associazione, che tuttavia non si aggiudicava l’appalto.

Al termine della procedura, l’associazione impugnava di fronte al Tar Umbria il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto vinto da un altro RTI, il quale, secondo la ricostruzione offerta dal ricorrente, era asseritamente sprovvista di un titolo idoneo poiché non risultava in possesso della specifica certificazione di qualità richiesta per svolgere il trasporto scolastico, bensì possedeva solamente una certificazione di idoneità al noleggio di autovetture, autobus e minivan, con o senza conducente.

Avverso tale tesi, le amministrazioni resistenti evocavano il principio di equivalenza vigente in materia di procedure di evidenza pubblica ed applicabile anche alle certificazioni di qualità, la cui verifica andrebbe condotta secondo criteri di congruenza e pertinenza sostanziale.

Il Tar adito, in adesione a quanto sostenuto dalle parti resistenti, ha rigettato il ricorso valutando che la certificazione posseduta dal RTI aggiudicatario risultasse essere “idonea, pertinente e proporzionata al trasporto scolastico”.

Nella sentenza, infatti, si specifica che “le norme tecniche come quella di cui in questa sede si converte si risolvono in una serie articolata di requisiti generali, la cui esistenza garantisce un determinato livello qualitativo della struttura aziendale (…) in modo da garantire la corretta esecuzione dei rapporti contrattuali e la soddisfazione del cliente. (…) Detto in altri termini, nel caso che qui interessa, la certificazione richiesta dalla stazione appaltante non attiene direttamente alle modalità con le quali l’operatore economico certificato rende il servizio (di trasporto scolastico o altro), bensì al livello qualitativo della struttura aziendale e dei processi lavorativi”.

Pertanto, in materia di requisiti di idoneità professionale e di capacità tecnica e professionale, in virtù del principio di equivalenza tra certificati, da ritenersi, come sottolinea il Tar Umbria, “immanente al settore dei contratti pubblici anche laddove non espressamente menzionato dalla legge di gara”, impone di valutare funzionalmente e con ragionevolezza il requisito di conformità alla norma tecnica posseduto dai vari operatori.


Motivi aggiunti e contributo unificato: importante decisione della Corte di Giustizia Tributaria di Roma

Con una importante decisione del 3 ottobre scorso (n. 10680/2022) la Corte di Giustizia Tributaria di Roma ha accolto il ricorso di una società che chiedeva l’esonero dal pagamento del contributo unificato per la proposizione di motivi aggiunti in un giudizio in materia di appalti pubblici avanti al Tar Lazio.

L’amministrazione resistente sosteneva che la proposizione dei motivi aggiunti avrebbe determinato un considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia in quanto sarebbero state introdotte nuove e diverse censure riferite ad un nuovo e diverso provvedimento. In sostanza, il Tar sposava l’interpretazione in base alla quale sarebbe comunque da considerare “domanda nuova” – per la quale sorgerebbe l’obbligo di pagamento di un ulteriore contributo unificato – quella con cui viene impugnato un atto nuovo e diverso rispetto a quello gravato dal ricorso introduttivo.

La tesi è stata ritenuta priva di pregio dalla Corte Tributaria che ha fatto corretta applicazione, tra l’altro, dell’art. 43 del c.p.a., che prevede due tipologie di motivi aggiunti: quelli “propri” che prospettano censure nuove avverso gli stessi atti, ampliando il thema decidendum sul fronte della causa petendi; e quelli “impropri” volti ad impugnare nuovi atti facenti parte del medesimo iter procedimentale ed emanati in pendenza del giudizio, ampliativi del petitum.

In passato, la differenza tra le descritte tipologie di motivi aggiunti era stata ritenuta decisiva ai fini dell’applicazione del regime del contributo unificato. Si riteneva, infatti, che il C.U. non dovesse essere corrisposto in caso di proposizione di “motivi aggiunti propri”; viceversa si riteneva fossero soggetti a nuovo C.U. i “motivi aggiunti impropri” indipendentemente dal contenuto della “nuova” impugnazione e del “grado” di connessione esistente tra gli atti impugnati.

Tale interpretazione, tuttavia, è stata superata a seguito, dapprima, della sentenza C-61/14 della Corte di Giustizia UE, e poi delle note sentenze delle SS.UU. della Cassazione del 2020 nn. 23873 e 23530.

La Suprema Corte, superando nettamente la distinzione tra motivi aggiunti propri e impropri, ha statuito: “In tema di processo amministrativo, al fine di stabilire se sia dovuto il contributo unificato atti giudiziari in caso di deposito di motivi nuovi con il quale si impugnino nuovi atti, non rileva la distinzione tra motivi propri ed impropri, ma, conformemente alla giurisprudenza unionale, occorre accertare se essi determinino un considerevole ampliamento del “thema decidendum” della causa principale, sicché solo in caso di connessione forte tra atti, i quali siano legati da un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, è escluso l’assoggettamento al contributo”(Cass. civ. sez. VI, 3.11.2021, n. 31294).

Il criterio di determinazione del regime fiscale del C.U. in caso di proposizione di motivi aggiunti, dunque, deve essere quello del “considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia già pendente” alla luce dell’istituto della connessione “forte” o “debole” tra i provvedimenti.

Come noto, la giurisprudenza amministrativa ritiene sussistenti i tratti della connessione “forte” quando sia possibile osservare un legame di consequenzialità necessaria tra i provvedimenti, ovvero quando l’uno costituisca il fondamento dell’altro, cosicché l’illegittimità di quello pregiudiziale provoca l’illegittimità di quello dipendente.

Nel caso di specie, la Determina Dirigenziale impugnata con i motivi aggiunti era dichiaratamente confermativa del provvedimento già oggetto del ricorso principale.

Nessuna modifica sostanziale della graduatoria, né alcun supplemento di istruttoria e rivalutazione delle offerte, erano state disposte con tale determina che, appunto, disponeva di “confermare” il provvedimento impugnato con il ricorso principale. La rettifica operata con suddetta determina risultava dunque meramente confermativa del presupposto provvedimento di aggiudicazione, reiterandone pedissequamente il contenuto lesivo e correggendone solo un errore qualificabile come materiale, sicché non era produttiva di alcun effetto innovativo lesivo per il destinatario.

Al fine di non rischiare di incorrere nella inammissibilità del ricorso principale per intervenuta carenza di interesse, la società ricorrente aveva in via cautelativa proposto motivi aggiunti al ricorso, riproponendo in via derivata i medesimi motivi di gravame già rivolti contro l’atto rettificato (salvo ovviamente quello relativo alla erroneità del conteggio dei punteggi), motivi che venivano pedissequamente trascritti nell’atto.

Emergeva dunque che il provvedimento di rettifica e conferma presentava un legame di stretta e necessaria consequenzialità con la prima aggiudicazione e dunque in connessione “forte” con quest’ultima, essendo entrambi i provvedimenti segmenti del medesimo procedimento amministrativo ed essendo le ragioni della lamentata illegittimità dell’atto consequenziale identiche a quelle rivolte contro l’atto presupposto.

Pertanto, appariva evidente come tale provvedimento di rettifica e conferma oggetto dei motivi aggiunti si ponesse in netta continuità con l’originario provvedimento di aggiudicazione, che è appunto l’oggetto del ricorso principale, in quanto ne integrava una mera conferma a seguito non di un approfondimento istruttorio, ma della semplice correzione di un errore materiale di calcolo

Nessun ampliamento del thema decidendum era pertanto derivato dai motivi aggiunti che sono stati meramente ripetitivi delle censure di gravame già articolate in via principale.

Tesi accolta dalla Corte Tributaria di Roma


Contratti pubblici: questioni attuali e prospettive evolutive. Convegno a Perugia il 5 novembre 2021

La Scuola Forense “Gerardo Gatti” del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia, in collaborazione con il Distretto Didattico Territoriale di Perugia della Scuola Superiore della Magistratura, ha organizzato per il prossimo 5 Novembre un interessante convegno in materia di contratti pubblici.

Responsabili della Sessione gli Avv.ti Fabio Amici e Fabio Buchicchio dello Studio Avvocati & Commercialisti, componenti del Comitato Scientifico Scuola Forense “Gerardo Gatti” ed esperti di diritto amministrativo.

Di particolare interesse le relazioni del Consigliere di Stato Stefano Fantini, che proporrà una rassegna dei più recenti trend giurisprudenziali in materia di contratti pubblici, e dell’Avv. Stato Mario Capolupo, Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, che illustrerà le riforme normative in itinere nell’ambito del quadro di riferimento del PNRR.

Il successivo dibattito tra i partecipanti e gli avvocati del Foro vedrà la già programmata partecipazione del Presidente della Camera Amministrativa dell’Umbria, Avv. Massimo Marcucci, e dell’Avv. Daniele Spinelli, docente alla SDA Bocconi School of Management ed esperto del settore.