3 Agosto 2024
È stata decisa dal Consiglio di Stato (Sez. VII, sent. n. 7006 del 17.7.2023), su un ricorso promosso dall’Avv. Fabio Amici, la questione relativa alla legittimità di una S.C.I.A. che aveva assentito, all’interno di un’area classificata come “area agricola periurbana – Ep”, una recinzione di un’area di parcheggio a servizio di abitazioni, opera qualificata dal compente comune come “pertinenziale” e pertanto ritenuta assentibile ai sensi dell’art. ex art. 21, comma 3, lett. b) e n) del Reg. Reg. Umbria 2/2015.
Il Tar Umbria, in primo grado, aveva giudicato illegittima la recinzione realizzata in zona agricola, atteso che all’interno di tale comparto Ep sarebbe stasta esclusa, per il Collegio di prime cure, l’esecuzione di opere non funzionali ad un’impresa agricola.
E ciò ai sensi degli ai sensi degli articoli 88 e ss. della L.R. Umbria n. 1/2015.
La legislazione regionale umbra regola infatti la materia della realizzazione di recinzioni in area agricola in due disposizioni, apparentemente di non perfetto coordinamento: l’art. 89, co.2, della L.R. n. 1/2015 e l’art. 21 del R.R. Umbria n. 2/2015.
L’art. 89 contiene disposizioni di carattere generale sulla realizzazione di diverse tipologie di interventi in zona agricola. La prima parte del secondo comma, in particolare, sancisce la compatibilità con le zone agricole di “attrezzature sportive e ricreative pertinenziali alle abitazioni“, nonchè, più avanti, “la realizzazione di opere di sistemazione idraulica, per l’irrigazione e di opere pertinenziali“.
La parte finale di tale comma 2, tuttavia, stabili(va) che “(fosse) esclusa ogni forma di recinzione dei terreni o interruzione di strade di uso pubblico se non espressamente previsto dalla legislazione di settore o recinzioni da installare per motivi di sicurezza, purchè strettamente necessarie a protezione di edificied attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche”.
Disposizioni che, pur non perfettamente coordinate, sembravano comunque consentire impianti anche non funzionali all’agricoltura ed opere pertinenziali sia a quest’ultima che alle abitazioni, con un divieto finale di realizzazione di recinzioni, salvo che per motivi di sicurezza a protezione “di edifici ed attrezzature funzionali”.
Il divieto di realizzazione di recinzione in area agricola, pertanto, sembrava non essere affatto assoluto, come invece sostenuto dal T.A.R. Umbria, poiché sopportava le eccezioni delle opere pertinenziali in generale e delle recinzioni a tutela della sicurezza degli edifici, agricoli e/o residenziali.
Tale lettura appariva peraltro confermata dall’art. 21 del R.R. n. 2/15 relativo alle opere pertinenziali, definite come quei “manufatti che, pur avendo una propria individualità ed autonomia, sono posti in durevole ed esclusivo rapporto di proprietà, di subordinazione funzionale e ornamentale, con uno o più edifici principali di cui fanno parte” (co. 1).
Il comma 3 dello stesso articolo 21 stabilisce che sono opere pertinenziali eseguibili senza titolo abilitativo una serie di interventi, tra i quali (lett. n) “le recinzioni, i muri di cinta e le cancellate che non fronteggiano strade o spazi pubblici e che non interessano superfici superiori a metri quadrati 3.000“.
Sono invece opere pertinenziali sottoposte a S.C.I.A., secondo il successivo comma 4, tre le altre (lett. g) “le recinzioni, i muri di cinta e le cancellate di qualunque tipo che fronteggiano strade o spazi pubblici o recinzioni pertinenziali di edifici che interessino superficie superiore a metri quadrati 3.000“.
La stessa lett. g) dell’articolo in commento, inoltre, precisa che “nelle zone agricole le recinzioni che interessino superficie superiore a metri quadrati 3.000 sono consentite esclusivamente per le imprese agricole, purchè a protezione di attrezzature o impianti“.
Tale ultima precisazione sarebbe stata del tutto incongrua ed illogica se si fosse interpreato il divieto di recinzioni di cui all’art. 89 della L.R. 1/15 come esteso a tutte le recinzioni in zona agricola salvo quelle per motivi di sicurezza ed a protezione di edifici ed attrezzature funzionali all’impresa agricola, come aveva sostenuto dal T.A.R.
In tale ultimo caso, infatti, la lett. g) del comma 4 del Regolamento n. 2 avrebbe introdotto una prescrizione per le superfici superiori a 3.000 mq del tutto inutile, poichè anche le recinzioni di superfici inferiori (classificate dal co. 3, lett. n) come attività libera) avrebbero subìtp l’analogo limite posto in generale dall’art. 89 (che, secondo la lettura del T.A.R., avrebbe vietato tutte le recinzioni in zona agricola salvo che per la protezione di edifici ed attrezzature di imprese agricole).
Il fatto che la lett. n) del co. 3 di tale art. 21 consente la realizzazione di recinzioni come attività libera per superfici inferiori a 3.000 mq, senza limitazioni per le aree agricole (che invece compare alla lett. g) del co. 4.) significa pertanto che in zona agricola sono consentite recinzioni di superfici inferiori a 3.000 mq a protezione di qualunque edificio, anche non funzionale ad una impresa agricola.
Dal coordinamento delle norme citate si deduceva, pertanto, che, l’art. 89 non consente le sole recinzioni in zona agricola funzionali alle imprese agricole, vietando quelle a protezione di edifici.
La questione è stata oggi risolta dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 7006/2023, alla luce della sopravvenuta decisione della Corte Costituzionale n. 175 del 2019 proprio sul citato art. 89, co. 2, della L.R. Umbria n. 1/2015.
Infatti, ha oggi precisato il Consiglio di Stato, “dall’ultima parte del comma 2 dell’articolo 89 della legge regionale n. 1/2015, nella versione riveniente dalla sentenza della Corte Costituzionalen. 175 del 2019, applicabile a tutti i rapporti giuridici pendenti al momento della decisione – che ha dichiarato l’illegittimità dell’ultimo periodo del comma originario, nella parte in cui, nelle zone agricole, vietava ogni forma di recinzione dei terreni non espressamente prevista dalla legislazione di settore o non giustificata da motivi di sicurezza, nonché strettamente necessaria a protezione di edifici ed attrezzature funzionali, anche per attività zootecniche – non è più estrapolabile un divieto generalizzato di realizzare recinzioni di terreni in zona agricola.
Qualsivoglia interpretazione che pretendesse di estrapolare siffatte limitazioni dalla norma suddetta, per come attualmente in vigore, sarebbe contraria alle previsioni contenute nell’art.842 del codice civile – che consente al proprietario di chiudere l’accesso al fondo in ogni momento – e così diverrebbe violativa della riserva di legge statale in materia diordinamento civile prevista dall’art.117 comma 2 lett. l).
Al caso di specie, dopo l’intervento della Consulta, va dunque a maggior ragione applicata la previsione contenuta nella lettera g) dell’art. 21, comma 3, del Regolamento Regionale n. 2 del 2015 la quale autorizza la realizzazione di opere pertinenziali, fra cui, alla lett. n) le “recinzioni, i muri di cinta e lecancellate (…) che non interessino superfici superiori a metri quadri tremila.”
Il d.lgs. n. 387 del 29 dicembre 2003 ha recepito la direttiva 2001/77/CE relativa alla “promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”.
In particolar modo, l’articolo 12, comma 5, d.lgs. n. 387/2003 cit. aveva stabilito che per l’installazione di impianti di fonte rinnovabile la cui capacità fosse inferiore a quella prevista nella Tabella A allegata al d.lgs. citato, ossia minore di 20 KW per gli impianti fotovoltaici, si applicava la disciplina della denuncia di inizio attività (ora SCIA) di cui agli artt. 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001.
Successivamente, con il D.M. del Ministero dello Sviluppo Economico del 10.9.2010, sono state emanate le “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, le quali hanno disposto le diverse procedure da seguire per poter richiedere il permesso per procedere ad installare un impianto fotovoltaico o altri impianti relativi a fonti di energia rinnovabile.
Tali disposizioni ministeriali e le successive modifiche della normativa di settore hanno condotto ad un quadro che prevede oggi tre diverse tipologie di autorizzazioni amministrative.
All’interno delle ricordate Linee Guida è stato disciplinato in maniera dettagliata l’iter per richiedere l’autorizzazione unica (AU) riguardante tutti gli impianti che superano i limiti previsti dalla tabella A del d.lgs. n. 387 del 2003 cit. (20 KW, come vedremo poi elevati a 1MW).
L’AU, coinvolgendo tutte le amministrazioni competenti (tramite l’indizione di una conferenza di servizi), risulta sostitutiva di tutti gli altri atti di assenso delle P.A. coinvolte e, in particolar modo, una volta approvata, può modificare anche il PRG comunale. Su istanza di parte può essere applicata in via residuale anche per gli impianti con una potenza inferiore rispetto alle soglie previste dalla tabella A citata.
2. Attività libera (semplice comunicazione)
Al paragrafo 11, punti 9 e 10, delle cennate Linee Guida viene altresì indicata la procedura da seguire qualora l’installazione di un impianto di energia rinnovabile rientri nella c.d. “attività di edilizia libera”.
In particolare viene prevista una semplice comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale competente (par. 12.1), alla quale risulta necessario allegare tutte “le autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore” (par. 11.9, lettera a).
Tale comunicazione, in origine, veniva prevista unicamente per gli interventi di installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui all’articolo 6, comma 2, lettere a) e d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (più precisamente: interventi di manutenzione ordinaria e i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola) e di impianti solari fotovoltaici realizzati su edifici esistenti.
Tuttavia, il successivo d.lgs. n. 28 del 3 marzo 2011, all’art. 6, comma 11, nel ribadire che la comunicazione relativa alle attività in edilizia libera, di cui ai paragrafi 11 e 12 delle Linee Guida, debba continuare ad applicarsi, alle stesse condizioni e modalità, agli impianti ivi indicati, ha previsto espressamente che le Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della cennata comunicazione “ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche”.
Con L. R. 16 dicembre 2011 n. 16, la Regione Lazio ha deciso di estendere il regime della suddetta comunicazione, così come indicato dall’art. 6, comma 11, d.lgs. n. 28 del 3 marzo 2011 cit., prevedendo così che quest’ultima venga applicata “ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 KW, nonché agli impianti fotovoltaici da realizzare sugli edifici ed agli impianti fotovoltaici i cui moduli costituiscono elementi costruttivi di pergole, serre, barriere acustiche, tettoie e pensiline, precedentemente autorizzate (…)” (art. 3, comma 4, L. R. Lazio n.16/2011).
Nella regione Lazio, dunque, gli impianti fino a 50 KW rientrano nel regime dell’attività libera, soggetta a semplice comunicazione preventiva.
3. Procedura Abilitativa Semplificata (PAS).
Infine, l’articolo 6, co. 2, del d.lgs. n. 28 del 2011, al fine di snellire l’iter amministrativo per l’installazione di impianti relativi alla produzione di energia elettrica, ha introdotto la c.d. Procedura Abilitativa Semplificata (PAS).
Ricalcando in parte la normativa prevista per la segnalazione di inizio attività (ex DIA) di cui agli articoli 22 e 23 del DPR 380 del 2001, tale articolo ha stabilito che “Il proprietario dell’immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall’impianto e dalle opere connesse presenta al Comune, mediante mezzo cartaceo o in via telematica, almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”
Per la procedura appena descritta, il successivo comma 9 dell’art 6 d.lgs. n. 28/2011 ha demandato alle Regioni e alle Province autonome la possibilità di estendere la soglia applicativa agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico, definendo altresì i casi in cui, qualora siano previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l’esercizio dell’impianto e delle opere connesse sono assoggettate all’autorizzazione unica.
Anche in questo caso la Regione Lazio ha scelto di estendere l’ambito applicativo della procedura abilitativa semplificata agli impianti per la produzione di energia elettrica con capacità di generazione fino a 1 MW elettrico di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (art. 3, co. 1, l. R.L. n. 16/2011).
Alla luce di tale complessa evoluzione normativa, pertanto, le procedure oggi previste per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili nella regione Lazio è sinteticamente la seguente:
– impianti fino a 50 KW – semplice comunicazione;
– impianti tra 50KW e 1MW – P.A.S.
– impianti superiori a 1MW – A.U.