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Disciplina nazionale e regionale sulle fonti energetiche rinnovabili e relativi impianti (con particolare riferimento alla Regione Lazio).

Il d.lgs. n. 387 del 29 dicembre 2003 ha recepito la direttiva 2001/77/CE relativa alla “promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”.

In particolar modo, l’articolo 12, comma 5, d.lgs. n. 387/2003 cit. aveva stabilito che per l’installazione di impianti di fonte rinnovabile la cui capacità fosse inferiore a quella prevista nella Tabella A allegata al d.lgs. citato, ossia minore di 20 KW per gli impianti fotovoltaici, si applicava la disciplina della denuncia di inizio attività (ora SCIA) di cui agli artt. 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001.

Successivamente, con il D.M. del Ministero dello Sviluppo Economico del 10.9.2010, sono state emanate le “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, le quali hanno disposto le diverse procedure da seguire per poter richiedere il permesso per procedere ad installare un impianto fotovoltaico o altri impianti relativi a fonti di energia rinnovabile.

Tali disposizioni ministeriali e le successive modifiche della normativa di settore hanno condotto ad un quadro che prevede oggi tre diverse tipologie di autorizzazioni amministrative.

  1. Autorizzazione Unica (AU).

All’interno delle ricordate Linee Guida è stato disciplinato in maniera dettagliata l’iter per richiedere l’autorizzazione unica (AU) riguardante tutti gli impianti che superano i limiti previsti dalla tabella A del d.lgs. n. 387 del 2003 cit. (20 KW, come vedremo poi elevati a 1MW).

L’AU, coinvolgendo tutte le amministrazioni competenti (tramite l’indizione di una conferenza di servizi), risulta sostitutiva di tutti gli altri atti di assenso delle P.A. coinvolte e, in particolar modo, una volta approvata, può modificare anche il PRG comunale. Su istanza di parte può essere applicata in via residuale anche per gli impianti con una potenza inferiore rispetto alle soglie previste dalla tabella A citata.

2. Attività libera (semplice comunicazione)

Al paragrafo 11, punti 9 e 10, delle cennate Linee Guida viene altresì indicata la procedura da seguire qualora l’installazione di un impianto di energia rinnovabile rientri nella c.d. “attività di edilizia libera”.

In particolare viene prevista una semplice comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione comunale competente (par. 12.1), alla quale risulta necessario allegare tutte “le autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore” (par. 11.9, lettera a).

Tale comunicazione, in origine, veniva prevista unicamente per gli interventi di installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui all’articolo 6, comma 2, lettere a) e d), del D.P.R. n. 380 del 2001 (più precisamente: interventi di manutenzione ordinaria e i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola) e di impianti solari fotovoltaici realizzati su edifici esistenti. 

Tuttavia, il successivo d.lgs. n. 28 del 3 marzo 2011, all’art. 6, comma 11, nel ribadire che la comunicazione relativa alle attività in edilizia libera, di cui ai paragrafi 11 e 12 delle Linee Guida, debba continuare ad applicarsi, alle stesse condizioni e modalità, agli impianti ivi indicati, ha previsto espressamente che le Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della cennata comunicazione “ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche”.

Con L. R. 16 dicembre 2011 n. 16, la Regione Lazio ha deciso di estendere il regime della suddetta comunicazione, così come indicato dall’art. 6, comma 11, d.lgs. n. 28 del 3 marzo 2011 cit., prevedendo così che quest’ultima venga applicata “ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 KW, nonché agli impianti fotovoltaici da realizzare sugli edifici ed agli impianti fotovoltaici i cui moduli costituiscono elementi costruttivi di pergole, serre, barriere acustiche, tettoie e pensiline, precedentemente autorizzate (…)” (art. 3, comma 4, L. R. Lazio n.16/2011).

Nella regione Lazio, dunque, gli impianti fino a 50 KW rientrano nel regime dell’attività libera, soggetta a semplice comunicazione preventiva.

3. Procedura Abilitativa Semplificata (PAS).

Infine, l’articolo 6, co. 2, del d.lgs. n. 28 del 2011, al fine di snellire l’iter amministrativo per l’installazione di impianti relativi alla produzione di energia elettrica, ha introdotto la c.d. Procedura Abilitativa Semplificata (PAS).

Ricalcando in parte la normativa prevista per la segnalazione di inizio attività (ex DIA) di cui agli articoli 22 e 23 del DPR 380 del 2001, tale articolo ha stabilito che “Il proprietario dell’immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall’impianto e dalle opere connesse presenta al Comune, mediante mezzo cartaceo o in via telematica, almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”

Per la procedura appena descritta, il successivo comma 9 dell’art 6 d.lgs. n. 28/2011 ha demandato alle Regioni e alle Province autonome la possibilità di estendere la soglia applicativa agli  impianti  di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico, definendo altresì i casi in cui, qualora siano previste autorizzazioni ambientali o  paesaggistiche  di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione  e l’esercizio dell’impianto e delle opere  connesse  sono  assoggettate all’autorizzazione unica.

Anche in questo caso la Regione Lazio ha scelto di estendere l’ambito applicativo della procedura abilitativa semplificata agli impianti per la produzione di energia elettrica con capacità di generazione fino a 1 MW elettrico di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e) del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (art. 3, co. 1, l. R.L. n. 16/2011).

Alla luce di tale complessa evoluzione normativa, pertanto, le procedure oggi previste per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili nella regione Lazio è sinteticamente la seguente:

– impianti fino a 50 KW – semplice comunicazione;

– impianti tra 50KW e 1MW – P.A.S.

– impianti superiori a 1MW – A.U.


Termini dei procedimenti amministrativi e loro mancato rispetto

Nell’ordinamento italiano il carattere della perentorietà del termine può essere attribuito a una scadenza temporale solo da una espressa norma di legge[1], cosicché solo la legge può collegare in via generale al decorso del tempo il mutamento di una situazione giuridica, sia esso un potere dell’amministrazione (perenzione), sia esso un diritto o una facoltà del privato (decadenza)[2].

Pertanto, in assenza di specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell’Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine va inteso come meramente sollecitatorio o ordinatorio, sicché il suo superamento non determina l’illegittimità dell’atto[3].

In proposito, è stato altresì osservato che “I termini di conclusione del procedimento, ai sensi dell’art. 2 della L. n. 241 del 1990, hanno, di norma, natura ordinatoria salvo che la legge di settore li qualifichi come perentori”[4].

La giurisprudenza ha anche sottolineato che “l’individuazione del termine come “perentorio” – oltre che dalla definizione come tale – discende in primo luogo dalla ragione della sua introduzione, normalmente consistente nell’esigenza di celerità insita nella fase specifica del procedimento, in coerenza con la giurisprudenza prevalente, secondo cui, per i termini esistenti all’interno del procedimento amministrativo, il carattere perentorio o meno deve essere ricavato dalla loro “ratio” (cfr. Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 25.2.14, n. 10) nonché dalle specifiche esigenze di rilievo pubblico che lo svolgimento di un adempimento in un arco di tempo prefissato è indirizzato a soddisfare”[5].

Alla luce di tali principi, dunque, anche nella disciplina urbanistica ed edilizia la natura perentoria dei termini viene sempre desunta dalla lettura combinata delle norme pertinenti e dalla loro ratio.

Ciò non consente agevolmente, nel nostro ordinamento e soprattutto nel caso di procedimenti ed istruttorie complesse, nei quali sono coinvolte molteplici autorità e nei quali non sempre è agevole accertare la completezza e la idoneità di tutto il materiale necessario alla conclusione del procedimento, di stabilire tempi e responsabilità certe di tutti i soggetti coinvolti.


[1] Secondo il principio generale ricavabile dalla norma processuale di cui all’art. 152 comma 2 c.p.c., ai sensi del quale “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”.

[2] Consiglio di Stato, sez. VI – 8/4/2019 n. 2289.

[3] Ivi.

[4] Consiglio di Stato, sez. VI – 25/5/2020 n. 3307.

[5] Così T.A.R. Lazio Roma, sez. I – 8/2/2018 n. 1519, confermata in appello dal Consiglio di Stato, sez. IV – 12/10/2018 n. 5878). A detta conclusione sono pervenuti anche il Consiglio di Stato, sez. IV – 13/11/2017 n. 5190; sez. IV – 25/8/2015 n. 3985; T.A.R. Veneto, sez. I – 31/10/2019 n. 1182; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III – 4/3/2016 n. 449, confermata in appello dal Consiglio di Stato, sez. III – 3/3/2017 n. 996.


Sul termine per l’attuazione dei Piani Attuativi e sul relativo decorso alla luce del c.d. Decreto Semplificazioni del luglio 2020.

In base alla normativa nazionale, decorso il termine stabilito per l’attuazione dei piani particolareggiati, quali i Piani Attuativi, questi diventano inefficaci per la parte che non abbia avuto attuazione, rimanendo fermo a tempo indeterminato soltanto l’obbligo di osservare gli allineamenti dei fabbricati e le prescrizioni di zona stabilite dai piani stessi (art. 17 della L. 1150 del 17.8.1942).

La L.R. Umbria 1/2015, all’art. 57, riproduce sostanzialmente le previsioni della disciplina nazionale, specificando che:

  1. Il termine entro il quale il Piano deve essere attuato è di 10 anni;
  2. decorso tale termine il Piano decade automaticamente per la parte non attuata, ferma la possibilità a tempo indeterminato di realizzare gli interventi edilizi con l’obbligo di osservare gli allineamenti e le prescrizioni di zona;
  3. la parte di piano non attuata e non urbanizzata può essere urbanizzata ed edificata previa approvazione di un nuovo piano attuativo.

         Negli ultimi anni sono intervenute diverse norme che hanno disposto la proroga per legge del termine di validità delle convenzioni urbanistiche, accordi similari e relativi piani attuativi.

Il D.L. n. 69/2013 (c.d. “Decreto del fare”), all’art. 30, co. 3-bis, ha disposto che il termine di validità, nonché i termini di inizio e fine lavori nell’ambito delle convenzioni di lottizzazione (art. 28 L. 1150/1942), ovvero degli accordi similari comunque nominati dalla legislazione regionale, stipulati sino al 31 dicembre 2012, sono prorogati di tre anni.

Sul punto, la giurisprudenza amministrativa non è stata concorde nello stabilire se tale proroga di tre anni dovesse ritenersi applicabile anche alla validità dei piani attuativi o meno.

L’art. 10, co. 4-bis, del D.L. 16.7.2020 n. 76 (c.d. “Decreto Semplificazioni”), nel disporre un’ulteriore proroga di tre anni degli stessi termini prorogati dal “Decreto del Fare” del 2013 per le convenzioni di lottizzazione ed accordi similari, ha tuttavia precisato che tale proroga riguarda anche i “relativi piani attuativi”, con l’ulteriore precisazione che la medesima si applica anche a quei piani attuativi “che hanno usufruito della proroga di cui all’art. 30, co. 3-bis, del D.L. n. 69/2013 (c.d. “Decreto del fare”).

La nuova disposizione di proroga del luglio 2020 sembra pertanto contenere un inciso di “interpretazione autentica” della disposizione del 2013 e così rendere esplicita l’applicabilità ai piani attuativi di entrambe le proroghe triennali (del 2013 e del 2020).


Tutela dei docenti esclusi dalle GPS per errore nella compilazione della domanda

Con una importante ordinanza cautelare, una delle prime del Giudice Ordinario in Italia, Il Tribunale di Terni ha riammesso in Graduatoria un docente che era stato escluso, con risoluzione del contratto di lavoro nel frattempo stipulato, a causa di un suo errore nella compilazione della domanda telematica.

L’ordinanza, che contiene una interessante premessa in materia di Giurisdizione, ha totalmente accolto gli argomenti difensivi del ricorrente in materia di soccorso istruttorio e dovere di correttezza e buona fede dell’amministrazione scolastica in sede di rettifica delle GPS in favore dei docenti interessati.

A breve l’udienza di merito.